fossato

Rimarrò da sola? Ovviamente sì.

Mi sto costruendo un fossato intorno, giorno per giorno.
Mi capita sempre più spesso di sganciarmi da persone che hanno fatto parte della mia vita – più o meno intensamente – ma che ad oggi non riesco più a farle fittare con chi sono io.
Sono cambiata tanto e continuo a farlo, forse l’età contribuisce a questa stanchezza, a questa noia, a questa totale mancanza di stimoli nei confronti della gente:
se il mio rapporto con te mi consuma energie o mi porta insofferenza, o mi dà senso di inconciliabilità, te lo comunico con verità, ti spiego che sono consapevole che è una cosa che riguarda il mio cambiamento e la mia crescita – e non te -, ti dico che ho bisogno d’altro, chiudo il rapporto senza rabbie né rancori (chiudo il rapporto nella sua dimensione di amicizia: non blocco nessuno, non tolgo la parola a nessuno).

È solo un periodo transitorio? Non lo so.
Per ora scucirmi da quelle persone mi dà respiro, mi alleggerisce.
Il contrappasso è rimanere da sola.
Cos’è meglio, mi chiedo.
Quando non so scegliere per preferenza, scelgo per esclusione.
Tra l’essere senza amici e l’avere attorno amici che in qualche modo mi generano malessere, rimuovo ovviamente il malessere.
D’altra parte, la solitudine è una cosa mia, che posso gestirmi io (o per lo meno: provare a farlo), mentre le persone e i loro comportamenti no: non posso cambiare gli altri.

All’inizio quelle mie amputazioni di rapporti umani mi tormentavano: perché agli altri va bene avere amici di cui poi si lamentano e a me no? Perché tutti riescono a scendere a compromessi relazionali e io no? Perché sono così inflessibile?
Mi dicevo: loro sono più maturi di me perché sono più tolleranti; loro sono più forti di me perché accettano.
Mi sentivo malfatta.
Ho analizzato il mio comportamento, ho esaminato il percorso fatto, il mio storico, il mio bagaglio emotivo.
E no, non sono sbagliata.

La spiegazione è semplice:
sono cresciuta convinta di non andare bene, di essere nata con qualche anomalia di fabbrica.
Ho passato una vita, una vita intera (di affanni, sensi di inadeguatezza, terapia) per cercare di capire perché fossi difettosa, perché mi sentissi diversa, ho faticato anni per arrivare finalmente a comprendermi e accettarmi.
Ad oggi sono sfranta, stanca morta per il percorso fatto finora e non ho più alcuna forza per fare la stessa cosa sugli altri: serve robustezza per accettare le persone: le comprendo, quello sì, ho sale in zucca e comprendo che ognuno di noi ha i suoi modi, il suo storico, il suo percorso, il suo carattere.
Ma accettare, adattarsi, adeguarsi mi richiede delle energie che al momento non voglio usare.
Per loro.
Quelle energie servono a me, alla mia sopravvivenza: per i miei contesti di crescita, stare bene non è affatto assodato: devo adoperarmi più degli altri, tutti i giorni, per raggiungere quanto meno uno stato di quiete.

Ecco il perché di quel fossato: non per tenere lontano chiunque, ma affinché io per prima non lo superi per non farmi consumare da questo mondo troppo, troppo ingordo.

(al momento, famigliari a parte, ho due persone e solo due intoccabili nella mia vita)

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